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venerdì 16 aprile 2010

Federalismo scolastico sulla pelle dei precari

Cinzia Gubbini - Il Manifesto

Prove di federalismo scolastico, e sulla pelle dei più deboli: i precari. San Benedetto del Tronto, dove sono riuniti per il congresso della Flc Cgil 570 delegati da tutta Italia, è il luogo ideale in cui fotografare come, in questi mesi, le regioni hanno risposto al decreto salva-precari del ministro dell’Istruzione Maristella Gelmini.

Problema gravissimo e misconosciuto quello del precariato della scuola, fiaccato dalla sua lunga storia, quasi che fosse un problema endemico e sempre uguale a se stesso. Il segretario nazionale Mimmo Pantaleo ne ha fatto un punto centrale della sua relazione, i precari al congresso chiedono forme di lotta incisive, qualcuno ventila lo sciopero degli scrutini. Perché tutto sta cambiando, e velocemente. La destra non lesina le sue ricette, e in questo caso – di fronte ai tagli pesantissimi imposti dal ministero dell’Economia, e alle prese con un settore che non prevede alcun ammortizzatore sociale – la risposta avanzata è stata la sperimentazione di un «welfare regionale ». 


Con risultati disastrosi, e siamo solo all’inizio. Tutto cominciò con il decreto Gelmini: la risposta-beffa del governo ai tagli delle cattedre. Il ministro, con due provvedimenti, assicurò a tutti gli insegnanti che nell’anno 2008-2009 avevano avuto un incarico annuale, e poi a quelli che hanno maturato almeno 180 giorni di servizio in una scuola, la possibilità di mantenere il punteggio e di costituire una lista prioritaria per l’acceso alle supplenze brevi. Soldi: neanche un euro. Questi insegnanti – migliaia di persone che inmolti casi lavoro
da più di dieci anni – sono rimasti a casa con l’unica consolazione dell’indennità di disoccupazione: circa 800 euro che vanno a scalare col passare deimesi.

Meglio di niente, si dirà. Ma il diavolo ci ha  messo la coda: il decreto, infatti, ha aperto al strada al "generoso" intervento delle regioni. E così oggi dal Veneto alla Sicilia le situazioni sono diversissime. «Ricordiamoci che l’origine di tutti i mali viene proprio dalla Sicilia», puntualizza il segretario regionale siciliano della Flc Lillo Fasciana. Si sa che il paradosso è l’arte italiana e anche in questo caso non si fa eccezione. Fu infatti il leghista meridionalista Raffaele Lombardo, governatore della Sicilia, a suggerire la soluzione a Gelmini che non sapeva come rispondere ai tagli di Tremonti. «Lombardo disse che avrebbe utilizzato i fondi europei per
dare un supporto alla scuola – ricorda Fasciana – e da lì è partito tutto». Ma i fondi europei in Sicilia sono ancora bloccati, e per i 4 mila precari non è arrivata alcuna risposta. «E anche se fosse arrivata – dice Fasciana –  sarebbe stata pessima: contratti di prestazione d’opera per progetti integrativi da realizzare fuori dalla scuola.

Una svalutazione del personale dal punto di vista professionale e contrattuale». Tutt’altra situazione in  Lombardia. Qui il piano territoriale c’è ed è partito ben oliato dai fondi della regione: 15 milioni di euro. I requisiti di accesso al progetto regionale sono stati addirittura allargati rispetto al decreto salva precari arrivando ad interessare circa 800 persone. Ma le condizioni sono pessime: insegnanti e amministrativi lavorano con lettere di incarico, senza alcuna garanzia contrattuale, per 36 ore al mese in progetti che riguardano il settore dell’handicap, dell’integrazione degli stranieri, del recupero scolastico e così via.

La Flc non ha firmato: «Pretendiamo una contrattualizzazione perché l’obiettivo deve essere creare occupazione – dice Luciano Grimaldi della Flc Lombardia – e comunque volevamo una intesa tra Stato e regioni su questi piani territoriali che non c’è stata».

Forse anche a causa di questa deregulation selvaggia, la degenerazione sta prendendo piede: al sindacato arrivano segnalazioni di dirigenti scolastici che usano docenti, e soprattutto amministrativi, inseriti nei progetti regionali per coprire i buchi di organico, anche se il patto territoriale lo vieta. Così ci si ritrova con supplenti sostanzialmente pagati dalla regione. Altro giro, altra partita in Veneto. In questo caso il sostegno al reddito dei precari della scuola è stato attivato attraverso un progetto di formazione, al quale alla fine hanno avuto accesso anche i docenti di ruolo, ma dal quale sono stati esclusi gli amministrativi. Paga il fondo sociale europeo (2,5 milioni di euro). Il progetto riguarda circa 300 persone che con 480 ore di formazione possono arrivare a guadagnare circa 4.800 euro all’anno. Mica come in Campania, dove è stato bloccato un progetto molto simile a quello veneto: avrebbe riguardato circa 6mila precari con un sostegno di 2.500 euro per un anno di formazione. «Ma per i soliti ritardi – dice il segretario regionale Giuseppe Vassallo - non è partito nulla». Tutti a casa, o in attesa di emigrare al nord.



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